Donazione sangue: come funziona e chi ha il diritto di essere retribuito?
La donazione di sangue è un atto lodevole il cui valore viene riconosciuto non solo a livello sociale ma anche nel mondo del lavoro subordinato.
Possono chiedere un permesso retribuito per donazione sangue tutti i lavoratori subordinati. Sono esclusi, invece, i lavoratori autonomi e gli iscritti alla gestione separata dell’INPS.
Il lavoratore subordinato che effettua una donazione di sangue a titolo gratuito presso uno dei centri autorizzati dal ministero della sanità ha diritto ad un permesso retribuito per tutta la giornata della donazione (non si rientra a lavoro dopo la donazione) in modo da reintegrare a pieno le energie fisiche.
Il riposo è di 24 ore dal momento della donazione (orario che è attestato sul certificato di prelievo).
Ricordando che possono donare il sangue solo persone con determinati requisiti anagrafici e sanitari, il limite massimo di donazioni in un anno è di:
- 4 per gli uomini e le donne che non sono più in età fertile
- invece è di 2 volte all’anno per le donne in età fertile.
La quantità minima di sangue da prelevare affinché si possa considerare donazione è di 250 grammi.
Durante il riposo, il lavoratore ha diritto:
- alla retribuzione che avrebbe percepito in quella determinata giornata di lavoro (a carico INPS)
- all’accredito dei contributi figurativi INPS
Nella busta paga quella giornata viene pagata in anticipo dal datore di lavoro, che poi la conguaglia nel modello F24.
Attenzione che i certificati di donazione sangue il datore di lavoro deve conservarli per 10 anni, quindi mi raccomando fateveli dare subito dal lavoratore e conservateli a dovere perché l’INPS potrebbe poi chiederveli.
E cosa succede se il lavoratore, per motivi sanitari, nel giorno previsto non può procedere alla donazione o se viene prelevata una quantità di sangue inferiore alla soglia minima richiesta (quella dei 250 grammi)?
Viene comunque riconosciuto il diritto all’astensione retribuita dal lavoro e l’accredito dei contributi figurativi per il tempo necessario ad andare al centro trasfusionale e quello per recarsi fino al posto di lavoro. Chiaramente il lavoratore dovrà presentare all’azienda un certificato rilasciato dal centro stesso che attesti nel dettaglio la non idoneità alla donazione.