Quali e quanti sono i costi di un dipendente all’interno del nostro paese?
Assumere un dipendente è sempre un investimento importante perché, oltre alla retribuzione che paghiamo al lavoratore, ci sono altri costi da sostenere. Cerchiamo quindi di capire insieme quanto incide un lavoratore subordinato nel bilancio aziendale.
Gli elementi che compongono il costo sono questi:
1. RAL (retribuzione annua lorda): cioè la retribuzione che l’azienda ha pattuito con il lavoratore, rifacendosi ai contratti collettivi nazionali di lavoro ed agli eventuali contratti integrativi.
Ovviamente la retribuzione varia in base a tanti criteri: settore, livello di assunzione, anzianità di servizio presso la stessa azienda, orario di lavoro part time o full time, ecc.
Inoltre bisogna considerare il numero di mensilità previste (normalmente 13 o 14).
2. TFR (cioè il trattamento di fine rapporto) che non pago subito ma comincio ad accantonare e rivalutare alla fine di ogni anno in base alle variazioni dell’indice istat.
I contributi INPS a carico dell’azienda. L’aliquota da applicare la definisce l’INPS in base al tipo di attività.
INAIL, ovvero il premio assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali (che è un costo interamente a carico dell’azienda).
Il tasso da applicare varia a seconda del rischio tipico dell’attività: costi eventuali e riferiti ad ALTRI ENTI (come enti bilaterali o casse di assistenza sanitaria obbligatoria).
Insomma in linea di massima se un lavoratore dipendente guadagna 1200€ netti al mese, all’azienda ne costa quasi il doppio.
E’ questo il grosso problema del mondo del lavoro: il cuneo fiscale. Cioè la differenza fra il costo sostenuto dall’azienda e quello che si porta a casa pulito il lavoratore.
Secondo uno studio dell’OCSE diffuso quest’anno (“taxing wages”) che mette a confronto 35 paesi, in Italia in prelievo contributivo in capo all’azienda è fra i più alti d’Europa.
In Italia un lavoratore è soggetto ad un cuneo fiscale del 47,7%. Peggio di noi solo la Germania (49,7%) e il Belgio (53,7%), mentre la media OCSE si aggira sui 35,9%.
C’è da dire però che in questi altri paesi negli ultimi anni il cuneo è migliorato, mentre da noi il calo nell’ultimo anno è stato per lo più impercettibile).
Ecco allora che capiamo perché le aziende sono predisposte a spostare la produzione in paesi esteri dove il costo del lavoro è decisamente più basso, dove si possa pagare meno la manodopera.
C’è comunque da segnalare che, sempre in base a questi dati, è vero che da noi il costo del lavoro è sceso poco, però dall’altra parte, ad esempio nei paesi dell’est, è decisamente aumentato quindi non necessariamente conviene/converrà ancora esternalizzare all’estero.
Tornando a noi, in Italia, siamo tutti d’accordo che certamente se i costi fossero minori, l’occupazione salirebbe e ne beneficerebbero imprese, lavoratori ed in generale tutto il sistema economico.