Smart working. Il cosiddetto “lavoro agile”, che cos’è e a che cosa serve? A chi conviene?

 

In Italiano si chiama lavoro agile, ma tutti ormai abbiamo abbiamo fatto l’orecchio alla parola “smart working”.

Lo scopo è doppio:
– conciliare i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti
– aumentare la competitività delle imprese

Lo smartworking non è una forma contrattuale vera e propria, è solo una modalità flessibile di svolgimento del lavoro subordinato (che può essere part time, full time, a tempo determinato, indeterminato, ecc).
Quindi come funziona. Io ho il mio solito contratto di lavoro individuale con un dipendente e, o subito alla firma del contratto oppure anche nel corso del rapporto di lavoro, faccio anche un accordo scritto di lavoro agile in cui stabilisco che da quel momento in avanti il lavoratore potrà lavorare anche in posti diversi dal luogo di lavoro.
Posti diversi cosa vuol dire, ovunque? Dipende.
Nell’accordo posso dire che può lavorare ovunque. In questo caso il lavoratore può scegliere casa propria, la spiaggia, il bar, un coworking, quello che vuole.
Oppure posso dire che può lavorare solo in determinati posti predefiniti: es. puoi lavorare in una a scelta delle 4 sedi aziendali, oppure a casa tua. Stop. Quindi è l’accordo che lo stabilisce.
La cosa bella è che, al di là del luogo di lavoro e quindi del fatto di potersi risparmiare un treno, l’utilizzo della macchina o gli orari di punta del traffico mattutino, lo smart worker può gestirsi in autonomia gli orari, perché si passa da un concetto di lavoro ad ore ad una visione di lavoro per obiettivi.

Quindi smartworker vuol dire che lavoro sempre da casa? No, quello si chiama telelavoro. Con lo smartworking lavoro un po’ in azienda e un po’ fuori. Però in azienda ci devo andare. E questa è la cosa positiva, perché si riconosce comunque il valore che ha il fatto di recarsi in un ambiente prettamente dedicato al lavoro, che permetta di concentrarsi, che permetta di interagire con i Colleghi e di incontrare persone.
Ci sono delle aziende che ad esempio, nei loro accordi, hanno stabilito che si fa smartworking 1 volta a settimana.
Attenzione che per mettere in piedi tutto ciò bisogna fare una comunicazione preventiva obbligatoria al Ministero del Lavoro tramite il CdL, altrimenti non è completo. Non basta dire al lavoratore “bene dai, domani lavora pure da casa” e apposto così. NO!
Un’altra precisazione dovuta è che ovviamente il lavoratore non deve essere sempre raggiungibile, quindi vanno proprio stabilite delle fasce orarie in cui lo stesso si rende reperibile e altre in cui ha il diritto alla disconnessione.
Sicuramente questa modalità di lavoro non sarà tutta rose e fiori, ma pensate all’utilità che può avere in queste situazioni: un lavoratore disabile che ha qualche difficoltà negli spostamenti, ma che comunque non vuole isolarsi a casa col telelavoro un dipendente con patologia oncologica, che di certo non ha piacere di stare sempre in malattia, ma a cui può far comodo lavorare da casa (anche per distrarsi un attimo) nei periodi in cui è sottoposto a terapia una mamma alla fine del congedo obbligatorio che vuole tornare a lavoro senza sfruttare il congedo parentale pendolari che magari si evitano un giorno di treno.
Ecco, una cosa molto bella dello smart working è che si può fare a termine, quindi posso provare. Faccio un accordo per 3 mesi, poi vedo come va.

E’ ovvio che non è uno strumento che fa per tutti, ma se siete una realtà in cui potrebbe aver senso… perché non provare? Valutatelo!